Ponti e pesci
È la penultima colazione che consumerò durante il mio viaggio a Mindoro. Mi accingo a sedermi a tavola mentre Il sole splende come se volesse consolarmi per la prossima partenza. Mi siedo, malinconica, ma Rosanna sfoggia un sorriso contagioso e me ne comunica subito il motivo: il camion da Manila è arrivato! Con la pazienza di chi sa che sto cercando di assaporare ogni istante, attende che io finisca il caffè, poi mi prende per mano e mi porta in palestra, dove i pacchi sono disposti come piccoli tesori pronti per essere scoperti.
Non appena li vediamo, ci sentiamo come due esploratrici in un viaggio ricco di scoperte. Iniziamo ad aprire gli scatoloni con entusiasmo infantile e prendiamo a tirare fuori zaini, ombrelli e, infine, anche le magliette. Rosanna si blocca un attimo, sembra una bambina che ha ricevuto un regalo inatteso. “Ci avevano detto che non sarebbero arrivate in tempo!“, dice.
Poi ci raggiunge Suor Aldine, che si unisce alla nostra piccola festa. E così, come fossimo tre amiche in viaggio di piacere, iniziamo a scattare foto su foto, immortalando ogni dettaglio e ogni sorriso per catturare immagini che ci consentano, in futuro, di riassaporare le emozioni vissute qui, in questi giorni.
Tra un click e una risata, tutto assume un valore speciale: ogni ombrello, ogni zaino, ogni maglietta rappresenta l’impegno di tante persone, un piccolo gesto che parla di speranza e futuro.
La distribuzione del materiale è prevista per il pomeriggio, tra qualche ora. Quindi ci dirigiamo a visitare l’allevamento di pesci, l’unico del progetto. Siamo curiose di vederlo e rimaniamo soddisfatte: lo stagno ospita ben 700 pesci d’allevamento, tutti curati con dedizione. L’allevatore si muove con familiarità, entrando in una baracchetta sullo stagno e spargendo il cibo nell’acqua. In pochi istanti i pesci si attorno a lui, voraci, e frenetici, agitando l’acqua in maniera che lo specchio d’acqua sembra animato di vita propria.
Per arrivare al casotto bisogna però attraversare un ponte. Insomma, “ponte” è una definizione ambiziosa. In realtà si tratta di due canne di bambù che attraversano un piccolo orso d’acqua. Suor Aldine sorride e mi guarda . Ormai la mia scarsa confidenza con le altezze e i ponti deve essere nota a tutti. “Vuoi andare?” dice. La mia risposta arriva subito: “Fossi matta! Ho già dato ieri in fatto di coraggio!” Ma lei, impavida e sorridente, non si fa certo fermare. Con la grazia di chi è abituata a sfidare ogni tipo di terreno, si avventura sul ponte, raggiunge il casotto e si mette a scattare foto meravigliose, immortalando il momento e la vivacità dei pesci che danzano nello stagno.
L’allevatore ci racconta che ha mangime sufficiente fino a dicembre. Ci sorride, soddisfatto, mentre ci spiega che in famiglia sono in tredici. Io penso che il prossimo sarà per loro un nel Natale.
E in quel momento, anche uno stagno con i suoi 700 pesci diventa un simbolo, una promessa di feste serene e piene di gratitudine.
Ritorno a Bukal
Mentre pranziamo arriva un temporale, di quelli forti che riempiono l’aria di umidità e scrosci assordanti. Guardo fuori, preoccupata: nel pomeriggio dobbiamo andare a Bukal. Rosanna mi osserva e dice, seria: “Eh, se piove non possiamo andare…”. La mia ansia raggiunge livelli da record e la mia faccia deve essere abbastanza espressiva. Ma Rosanna scoppia a ridere. Capisco che, nonostante il temporale, andremo a Bukal.
La sua leggerezza riesce a far brillare la giornata, ricordandomi che a volte la cosa migliore è prendere le cose con ironia, anche quando tutto sembra andare per il verso storto.
È divertente vedere il contrasto tra me, preparata come se dovessi affrontare chissà quale tempesta, e loro pronte a partire con quella leggerezza disarmante che le fa sembrare a loro agio in qualsiasi situazione.
Bukal è una piccola località situata nel comune di Magsaysay, a Mindoro Occidentale, incastonata tra colline verdi e campi di riso.
Facendo una ricerca su internet, scopro che la Bukal Spring è una delle principali attrazioni turistiche della zona. “Una sorgente naturale circondata da vegetazione rigogliosa, dove l’acqua scorre limpida e invita al ristoro e alla tranquillità”. Ma la Bukal che ho conosciuto io è molto diversa, non riscattata dai riflessi scintillanti dell’acqua della sorgente. Bukal è stato uno dei primi villaggi che ho visitato lo scorso anno. Mi ha colpito subito per la semplicità e povertà delle case, capanne di legno e lamiera disseminate lungo sentieri di terra rossastra. Anche allora pioveva e ricordo i bambini che arrivavano scalzi, protetti alla meglio da un pezzo di plastica o da un asciugamano appoggiato sulla testa.
La scuola più vicina per loro è quella di San Nicholas e, per chi non ha un mezzo di trasporto, il tragitto richiede circa 20-25 minuti a piedi, attraverso campi di riso e sentieri in terra battuta. Alcuni bambini vivono ancora più lontano, oltre un ponte che si raggiunge con altri 25 minuti di cammino, tra sentieri fangosi circondati da platani e palme.
Imbocchiamo la strada per il villaggio e, poco dopo, noto un gruppo che ci aspetta nello spiazzo alla fine del villaggio, poco prima del ponte. Sono raccolti attorno a una pensilina instabile, con il tetto in lamiera che scricchiola sotto il peso dei giorni e della ruggine. Qualche bambino sta ancora percorrendo la strada; quando si accorgono di noi, li vedo dallo specchietto retrovisore, mentre corrono dietro al furgoncino per raggiungerci.
Pioggia di colori
Sono in molti, un centinaio, accompagnati dalle madri, qualche padre e da nonni dall’età indecifrabile, con volti segnati da rughe profonde e sorrisi senza denti. Potrebbero avere 50 come 90 anni. Il tempo, qui, lascia un’impronta che confonde ogni tentativo di stima. Le maestre del progetto iniziano a disporre i bambini in più file, dividendoli per età.
Ma sono le bambine a colpirmi di più. Mi guardano con occhi curiosi e grandi sorrisi, scrutandomi dalla testa ai piedi come se volessero capire chi sono e da dove vengo. Non so, forse rappresento per loro l’immagine di un mondo che vedono nei video su internet, o solo una figura diversa dal solito e che suscita domande. Mi fanno una tenerezza infinita; sogno per loro un futuro di luce e di emancipazione.
I bambini, invece, sono più distaccati, più timidi. Appena incrocio i loro sguardi, abbassano gli occhi con un sorriso imbarazzato. E, Dio mio, vorrei stringerli tutti, tenerli al sicuro. Ma un futuro fatto di vere opportunità per loro non è solo un sogno lontano: stiamo lavorando, passo dopo passo, per offrirglielo davvero.
Prima distribuiamo gli ombrelli, poi passiamo alle magliette. Il primo a cui la porgo è uno dei più piccoli. Guarda la sua maglietta e non la prende. Mi chino sulle ginocchia e gli appoggio delicatamente la maglietta sul petto. Mi guarda e con gli occhi sembra chiedere: “Ma è mia davvero?”. Poi la afferra e se rimira tra le mani. Gli altri, vedendo la scena, vogliono lo stesso trattamento: non prendono la maglietta direttamente, ma aspettano pazienti, facendomi capire che anche loro desiderano quel gesto di attenzione. Così, uno alla volta, appoggio la maglietta sul petto di ciascuno, un piccolo rito di gentilezza che si ripete decine di volte.
Poi passiamo agli zaini. Aiuto il più piccolo a indossarli, e, naturalmente, devo fare lo stesso per tutti gli altri. Ogni bambino si volta, aspettando paziente che gli metta lo zaino sulle spalle. Ancora il rituale si ripete tante volte quanti sono i bambini ed è lo stesso per ogni articolo che doniamo.
Gli zaini sono pesanti, e i bambini non se l’aspettavano. Quando la distribuzione è finita, li aprono: dentro trovano un intero mondo. Una decina di quaderni, un album da disegno, e poi il vero tesoro: un astuccio rigido pieno di colori, matite, penne, gomme, un temperino. Osservano tutti quegli oggetti con occhi increduli. Sono felici, si vede.
Quando, durante la cena, raccontiamo alle altre suore della consegna e del momento in cui i bambini hanno aperto gli zaini, suor Cle, con un sorriso di tenerezza, dice: “Questi bambini non hanno mai avuto dei colori. Stanotte probabilmente non riusciranno a chiudere occhio e quelli che ci riusciranno, dormiranno abbracciati ai loro zaini.”
È incredibile come un semplice astuccio, pieno di colori, possa illuminare una giornata grigia. Mentre torniamo alla missione, suor Rosanna mi fa notare che persino la pioggia ci ha concesso una tregua proprio durante la consegna. Ha ripreso a cadere solo quando tutto era finito, quando ogni bambino aveva il suo ombrello. Un segno del Cielo?
A dispetto della grigia monotonia di una giornata piovosa, dei sentieri fangosi del ponte traballante, i sorrisi e la gioia dei bambini ci hanno donato una giornata entusiasmante. Con i loro nuovi ombrelli variopinti, hanno trasformato un giorno qualunque in una festa di tinte e di sorrisi. Un fiume di piccoli arcobaleni scorre sui sentieri che li riportano a casa, accompagnano le loro risate, mentre avanzavano sotto la pioggia, ciascuno riparato e felice.
Le bambine di prima, al sicuro sotto i loro ombrelli colorati, non mi sorridono più con timidezza; mi salutano con gioia, facendomi grandi cenni con le mani. “See you soon, Ma’am Rosalba! Come back soon!” gridano.
E mentre guardo allontanarsi quella scia di colore e gioia sotto il cielo ancora carico di nuvole, mi sono resa conto che questa giornata, probabilmente, resterà impressa a lungo nella loro memoria. Io me la ricorderò per sempre, di sicuro.
Ma si è fatto tardi, ed è tempo di tornare se non vogliamo essere sorpresi dal buio. Stasera, un centinaio di famiglie avranno avuto la conferma che i sacrifici fatti – accompagnare i bambini a scuola ogni sabato e domenica, rinunciando ai loro giorni di riposo – non sono stati vani. Stasera, le insegnanti del nostro progetto avranno visto, ancora una volta, che il cambiamento, seppure lento, arriva inesorabile, goccia dopo goccia, passo dopo passo.
Stasera, la mia ultima sera qui a Mindoro, ho la certezza che questa piccola goccia con cui abbiamo contribuito ad alimentare l’oceano di speranza dei bambini e degli adulti che vivono qui, rappresenta il senso del nostro progetto. Ogni goccia conta, ogni sforzo lascia il suo segno, lascia risultati concreti e alimenta nuova speranza e nuova voglia di fare.